Capitolo 22, versetti 17-29
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Avvenne poi che, tornato a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi,
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e vidi Lui che mi diceva: - Fa' presto, esci subito da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza rispetto a me. -
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E io osservai: - Signore, essi sanno che ero io a metterli in carcere e flagellare nelle sinagoghe quelli che credevano in te;
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e quando si spandeva il sangue di Stefano, tuo testimone, c'ero anch'io ad approvare, e custodivo le vesti di coloro che l'uccidevano. -
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Allora mi disse: «Va', ch'io ti manderò lontano verso i Gentili -».
Nuovo e più fiero tumulto.
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L'ascoltarono sino a questa parola; ma qui alzarono la voce, dicendo: «Togli dal mondo quest'uomo; non è degno di vivere!».
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E com'essi gridavano e gettavan via le vesti e lanciavan polvere in aria,
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il tribuno comandò che Paolo fosse menato in fortezza, battuto con flagelli e messo alla tortura, a fin di scoprire per qual motivo gridassero così contro di lui.
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E legato che l'ebbero con cinghie, Paolo disse al centurione che era lì presente: «V'è egli lecito di flagellare un uomo Romano, neppur condannato?».
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Il centurione, udito questo, corse dal tribuno, dicendo: «Che stai per fare? quest'uomo è cittadino Romano!».
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Allora il tribuno venne da Paolo e gli chiese: «Dimmi, sei tu Romano?». Ed egli rispose: «Sì».
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Il tribuno osservò: «A me questa cittadinanza è costata una gran somma!». E Paolo: «Io, invece, l'ho dalla nascita».
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Onde coloro che stavano per torturarlo si ritrassero subito da lui; e il tribuno stesso ebbe paura a saper ch'egli era cittadino Romano, perché l'aveva fatto legare.