Capitolo 25, versetto 15 - Capitolo 26, versetto 29
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Quando fui a Gerusalemme, vennero i capi dei sacerdoti e gli anziani, chiedendo la sua condanna.
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Risposi loro che non era usanza de' Romani di condannare un uomo, prima che l'accusato si trovi in faccia degli accusatori, e abbia modo di difendersi dall'accusa.
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Quindi, essi vennero qua, e io, senza indugio, il giorno appresso, sedendo in tribunale, comandai che quell'uomo mi fosse menato innanzi.
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I suoi accusatori, presentatisi, non gli attribuivano alcun delitto di quelli ch'io sospettavo;
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avevan solo contro di lui certe quistioni riguardanti la loro particolare superstizione e un certo
Gesù morto, che Paolo affermava esser vivente.
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E stando io in dubbio sulla faccenda, gli proposi se voleva andar a Gerusalemme ed esservi giudicato di queste cose.
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Ma, essendosi Paolo appellato per esser riservato al giudizio d'Augusto, io comandai fosse tenuto in custodia finchè lo mandassi a Cesare».
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E Agrippa disse a Festo: «Vorrei udirlo anch'io codest'uomo». Quello rispose: «Domani l'udrai».
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Il giorno appresso, Agrippa e Berenice vennero in gran pompa, e, entrati nella sala d'udienza coi tribuni e co' notabili della città, Paolo, per ordine di Festo, fu menato innanzi.
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E Festo disse: «Re Agrippa, e tutti che siete qui presenti, voi vedete quest'uomo contro il quale tutta la moltitudine de' Giudei s'è rivolta a me in Gerusalemme, gridando non esser più degno di vivere.
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Io però ho riconosciuto che non ha fatto nulla che meriti la morte; e siccome egli stesso s'è appellato ad Augusto, io ho deciso di mandarlo.
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Ma non ho nulla di ben certo da scriverne al sovrano; perciò l'ho fatto venire davanti a voi, e principalmente davanti a te, o re Agrippa, affinché, dopo questo esame, io abbia qualcosa da scrivere.
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Sembra infatti del tutto fuor di ragione mandare un carcerato senza dirle accuse contro di lui».
Capitolo 26
A Roma: Nerone. Difese di Paolo 58 - 60 d.C.
Ultimo discorso di Paolo.
1
- E Agrippa disse a Paolo: «Puoi parlare in tua difesa». Allora Paolo, stesa la mano, cominciò in tal modo a difendersi:
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«Re Agrippa, io ho la fortuna di potermi oggi difendere davanti a te di tutte le accuse che mi fanno i Giudei,
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specialmente perché tu hai conoscenza de' riti e delle quistioni che s'agitano tra i Giudei; perciò ti prego d'ascoltarmi con pazienza.
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Qual vita io abbia menata fin dalla giovinezza in seno alla mia nazione a Gerusalemme, tutti i Giudei lo sanno:
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conoscono da gran tempo, se pur vogliono renderne testimonianza, ch'io son vissuto a principio da Fariseo, secondo la più rigida setta della nostra religione.
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E ora sto sottoposto a giudizio per la speranza che ho nella promessa fatta da Dio a' nostri padri;
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della quale le nostre dodici tribù, servendo a Dio giorno e notte, aspettano il compimento. Per questa speranza, o re, sono accusato da' Giudei!
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E sembra a voi incredibile che Dio risusciti i morti?
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Io pure credetti di oppormi di viva forza al nome di Gesù il Nazareno;
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e lo feci in Gerusalemme, dove, avutone il potere da' capi dei sacerdoti, chiusi nelle prigioni molti santi; e quando eran messi a morte, diedi il mio voto.
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Spesso, per tutte le sinagoghe, a forza di castighi li costrinsi a bestemmiare; e, sempre più infuriando contro di loro, li perseguitai fin nelle città straniere.
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Mentre a tale scopo mi recavo a Damasco con potere e per commissione de' capi dei sacerdoti,
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di mezzo giorno, lungo la strada, io vidi, o re, una luce più splendente del sole, la quale dal cielo lampeggiò intorno a me e a quelli che eran meco.
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Cademmo tutti per terra, e io udii una voce dirmi in lingua ebraica: - Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ti è duro ricalcitrar contro lo stimolo. -
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E io dissi: - Chi sei, Signore? - E il Signore rispose: - Io son Gesù che tu perseguiti.
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Ma lèvati e sta' in piedi; poiché ti sono apparso per questo, per costituirti ministro e testimone delle cose che hai vedute, e di quelle per le quali ti apparirò,
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traendoti fuori da questo popolo e da' Gentili ai quali ora ti mando
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ad aprir loro gli occhi, che si convertano dalle tenebre alla luce e dalla potestà di Satana a Dio, e ottengano, per la fede in me, la remissione de' peccati e l'eredità tra i santi.-
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Perciò, o re Agrippa, io non fui disubbidiente alla celeste visione;
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e prima a que' di Damasco, poi a Gerusalemme e per tutta la Giudea e a' Gentili ho predicato che si pentano e si convertano a Dio, facendo degne opere di penitenza.
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Per tutto questo i Giudei m'han preso nel tempio, e hanno tentato d'uccidermi.
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Ma, confortato dall'aiuto di Dio, l'ho durata sino ad oggi, rendendo la mia testimonianza davanti a piccoli e a grandi, senz'aggiungere nulla a quello che i Profeti e Mosè, han detto dover succedere:
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che il Cristo patirebbe, e che, essendo lui il primo a risuscitare da' morti, annunzierebbe la luce al suo popolo e a' Gentili».
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Mentre Paolo così parlava in sua difesa, Festo esclamò ad alta voce: «Paolo, tu farnetichi; la molta dottrina ti fa dare in pazzia».
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Ma Paolo rispose: «Io non farnetico, eccellentissimo Festo; le mie parole son di verità e di buon senno.
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Il re conosce queste cose, e io gliene parlo francamente, persuaso che nulla ignora di tutto questo; poiché non son cose fatte di nascosto.
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Re Agrippa, credi tu ai Profeti? Io so che ci credi».
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E Agrippa, disse a Paolo: «Poco manca che tu non mi fai diventar cristiano!».
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E Paolo: «Manchi poco o molto, desidero da Dio che non solo tu, ma quanti oggi mi ascoltano, diventiate tali quale son io, salvo queste catene».