Capitolo 27, versetti 4-12
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Poi, partiti di là, navigammo sotto Cipro, perché i vènti eran contrari;
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e, traversato il mare di Cilicia e Panfilia, arrivammo a Mira di Licia.
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Qui il centurione, trovata una nave alessandrina che faceva rotta per l'Italia, ci trasferì in essa.
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E dopo aver navigato lentamente per molti giorni, arrivammo con pena dirimpetto a Gnido, trattenuti dal vento, ci accostammo a Creta, dalla parte di Salmone;
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e costeggiando con gran difficoltà, venimmo a un certo luogo, chiamato Beiporti, vicino a cui era la città di Talassa.
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Passato così molto tempo, e il navigar facendosi sempre più pericoloso, perché era passato il digiuno, Paolo li ammoniva
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dicendo: «Uomini, io vedo che la navigazione riuscirà di danno e perdita grande, non solo del carico e della nave, ma anche delle nostre vite».
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Ma il centurione credeva più al pilota e al padron della nave che non alle cose dette da Paolo.
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E siccome quel porto non era adatto a svernare, i più furon di parere di partirne e, se fosse possibile, spingersi fino a Fenice, porto di Creta, che guarda a libeccio e a maestro, e di passarvi l'inverno.